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Acqua e migrazioni umane al tempo del cambiamento climatico
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Articolo di Redazione
3 settembre 2021 17:00
 
Oggi nel mondo ci sono più di 1 miliardo di migranti e i deficit idrici sono collegati al 10% dell’aumento della migrazione globale. A dirlo è il rapporto “Ebb and Flow” pubblicato recentemente dalla Banca Mondiale  che dimostra che è la mancanza di acqua, e non le alluvioni, ad avere un impatto maggiore sulla migrazione.
Presentando il rapporto, Mari Pangestu, amministratore delegato della Banca mondiale per la politica di sviluppo e i partenariati, ha sottolineato che «Mentre la lotta contro la pandemia di Covid-19 continua, il cambiamento climatico sta alimentando le problematiche idriche in tutto il mondo, che colpiranno più duramente i Paesi in via di sviluppo. Nelle città che accolgono migranti dalle aree rurali a causa della variabilità delle precipitazioni, è utile prevenire tali crisi in modo integrato, per sostenere uno sviluppo verde, resiliente e inclusivo».
Ebb and Flow è composto da due volumi: “Water, Migration, and Development”,  che esamina il legame tra acqua e migrazione e le implicazioni per lo sviluppo economico e si basa sull’analisi del più grande dataset sulla migrazione interna mai realizzato su quasi mezzo miliardo di persone in 64 Paesi dal 1960 al 2015, e su diversi dataset nazionali e globali messi insieme  per la prima volta; “Water in the Shadow of Conflict”, che affronta l’interazione delle guerre con l’acqua e le dinamiche migratorie in Medio Oriente e Nord Africa (MENA).
Dal mega-rapporto della Banca Mondiale emerge che «Il cambiamento climatico sta alimentando la migrazione indotta dalla carenza d’acqua, poiché la variabilità delle precipitazioni, in particolare, spinge le persone a cercare prospettive migliori altrove». 17 Paesi del mondo che ospitano il 25% della popolazione mondiale stanno già sperimentando uno stress idrico estremo. Con oltre l’ 85% delle persone colpite dalla variabilità delle precipitazioni che vivono in Paesi a basso o medio reddito, le sfide legate all’acqua hanno un impatto sproporzionato nel mondo in via di sviluppo.
La Banca Mondiale evidenzia che «Questo non significa che ci siano ondate di poveri “rifugiati dell’acqua” che migrano per sfuggire alla siccità. In realtà, sono i più poveri che spesso non hanno i mezzi per migrare, anche quando questo potrebbe migliorare i loro mezzi di sussistenza e le loro prospettive. I residenti nei Paesi poveri hanno 4 volte meno probabilità di spostarsi rispetto ai residenti dei Paesi a reddito medio».
Nelle aree colpite da conflitti, come la regione MENA, ci sono ulteriori livelli di complessità, dato che guerra e disoccupazione sono due delle forze trainanti della migrazione. Il Rapporto ricorda che «L’area MENA è la regione più povera d’acqua del mondo, ma l’acqua è più spesso una vittima di conflitti che un motivo di migrazione. Le infrastrutture idriche sono spesso prese di mira durante i conflitti, lasciando centinaia di migliaia di persone senza accesso a questa risorsa essenziale.  Tuttavia, nella regione il conflitto diretto indotto dai rischi idrici non è così comune come previsto. Infatti, la scarsità d’acqua ha storicamente portato più alla cooperazione che ai conflitti».
Ferid Belhaj, vicepresidente della Banca mondiale per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha spiegato che «Essendo la regione più povera d’acqua del mondo, l’accesso all’acqua è una lotta quotidiana per milioni di persone nella regione MENA, in particolare le più vulnerabili. La regione affronta anche le maggiori perdite economiche previste dalla scarsità d’acqua legata al clima, stimata tra il 6% e il 14% entro il 2050. Garantire che l’acqua faccia parte della più ampia discussione e dei piani di politica di sviluppo umanitario è vitale per stabilizzare le economie, ricostruire i mezzi di sussistenza e forgiare un futuro verde, resiliente e inclusivo per tutti».
Dei 975 episodi riguardanti l’accesso all’acqua che tra il 1948 e il 2008 hanno coinvolto bacini fluviali internazionali nella regione MENA, il 56% è stato cooperativo, il 37% conflittuale e l’8% neutrale. Il rapporto  dice che «Dato il numero di conflitti armati nella regione in quel periodo, è degno di nota il fatto che le questioni idriche abbiano storicamente portato alla cooperazione. Questo approccio cooperativo deve essere preservato e rafforzato man mano che gli effetti dei cambiamenti climatici si intensificano e gli shock meteorologici aggravano inevitabilmente le vulnerabilità e le tensioni sulle risorse idriche».
A livello globale, la migrazione è più sentita nelle città, che oggi ospitano il 55% della popolazione mondiale. Per questo, secondo il rapporto, «Le città devono prendere in considerazione le implicazioni politiche della loro popolazione in crescita, non solo il numero di migranti che ricevono, ma anche il capitale umano che portano con sé. I lavoratori migranti che lasciano le regioni con precipitazioni più basse e frequenti shock di c siccità di solito possiedono livelli di istruzione e competenze inferiori rispetto ad altri lavoratori migranti, il che implica salari significativamente più bassi e un minore accesso ai servizi di base nella loro destinazione».
Dato che i cambiamenti climatici e l’afflusso di nuovi residenti mettono a dura prova le infrastrutture idriche esistenti, spesso inefficienti, molte città rischiano di arrivare presto al “giorno zero”, quando i rubinetti resteranno a secco. La Banca Mondiale fa notare che «Le politiche e le infrastrutture necessarie per costruire la resilienza idrica sono costose, ma una siccità è molto più costosa, riducendo potenzialmente la crescita economica di una città fino al 12%».
Anche per questo conviene investire nell’acqua: «Persone, mezzi di sussistenza e risorse devono essere protetti – avverte il rapporto – Una gamma complementare di politiche può trasformare in opportunità le crisi indotte dall’acqua. I responsabili politici, specialmente nelle regioni colpite da conflitti come il MENA, dovranno trovare un compromesso tra misure a breve termine non coordinate per rispondere alle esigenze idriche immediate e misure a lungo termine necessarie per affrontare i problemi idrici strutturali. Sia nelle città che nelle aree rurali, c’è un urgente bisogno di costruire la resilienza idrica. Gli investimenti incentrati sulle persone, su reti di sicurezza finanziaria, beni collettivi come l’istruzione, l’approvvigionamento idrico e servizi igienico-sanitari, assistenza sanitaria e alloggi sicuri per i migranti poveri possono aiutare a proteggere le persone da gravi shock legati all’acqua. Le città possono anche implementare migliori pratiche idriche, come la riduzione della domanda idrica, il riciclo delle acque reflue , la raccolta delle acque piovane e la riprogettazione delle aree urbane in modo che assomiglino a spugne che assorbono l’acqua e la immagazzinano sotto terra».
Allo stesso tempo, devono essere protetti anche i mezzi di sussistenza nelle aree da cui le persone stanno migrando. «Queste comunità vulnerabili – conclude il rapporto – trarrebbero vantaggio da tecniche agricole intelligenti per il clima, irrigazione gestita dagli agricoltori e infrastrutture verdi per contrastare la variabilità e la scarsità dell’acqua. Le misure a breve termine per ridurre l’impatto degli shock idrici devono essere integrate da strategie a lungo termine per ampliare le opportunità e rafforzare la resilienza in queste comunità».

(GreenReport del 02/09/2021)
 
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