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 ITALIA - ITALIA - Italia. Molecola stimola funzionamento del fegato malato
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8 novembre 2007 15:30
 
La somministrazione di una molecola, il G-CSF, in particolari tipi di danno epatico negli animali impiegati in laboratorio puo' determinare un ulteriore effetto benefico, oltre a quello sulle staminali del midollo osseo: migliora la funzionalita' del fegato e aumenta la percentuale di cellule staminali provenienti dal midollo. Lo hanno scoperto ricercatori dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore con una ricerca pubblicata sulla rivista internazionale Gastroenterology, di cui e' primo autore Anna Chiara Piscaglia, dell'Istituto di Medicina Interna e Geriatria. La ricerca da' un'originale risposta a un comportamento cellulare osservato da molti ricercatori, ma di cui nessuno era riuscito a dare una spiegazione.
Lo scopo, del lavoro dei ricercatori della Cattolica di Roma era quello di valutare nei ratti se il G-CSF potesse agire anche sul fegato e sulle cellule ovali, stimolando la loro attivazione, spiegando quindi il fatto che il fegato ricominci a funzionare cosi' bene.
"Abbiamo studiato un gruppo di ratti -dice la Piscaglia- opportunamente trattati. Erano ratti che avevano subito un danno epatico grave e nei quali anche il midollo si attivava, inviando cellule staminali per riparare il danno. Dunque, da una parte le cellule ovali nel fegato si trasformavano in epatociti e dall'altra le cellule staminali del midollo si trasformavano in cellule ovali che a loro volta diventavano epatociti".
A questo punto si trattava di capire come rispondevano tutte queste cellule al G-CSF. Per farlo i ricercatori hanno marcato (per poterle seguire) delle cellule del midollo dei loro ratti.
"Siamo riusciti a dimostrare che il farmaco agisce sulle cellule staminali epatiche, aumentandone significativamente la risposta proliferativa, cioe' le cellule del fegato si riproducono piu' in fretta", spiega ancora Piscaglia. "Inoltre, aumenta significativamente il numero di cellule ovali e aumenta anche il numero di quelle che derivano dal midollo, che rimangono comunque una minoranza".
Per verificare ulteriormente quanto trovato, i ricercatori hanno isolato le cellule ovali e hanno verificato il grado di proliferazione e di migrazione di queste cellule in risposta al G-CSF. "In questo modo abbiamo dimostrato che il farmaco agisce direttamente sulle cellule ovali, che esprimono il recettore (cioe' "il gancio") per il farmaco. Non basta: esprimono loro stesse il farmaco, aumentandone l'effetto". L'effetto del farmaco in vitro e' duplice: fa proliferare le cellule staminali del fegato e le fa migrare piu' in fretta.
Fino a pochi anni fa si credeva che il fegato non possedesse cellule staminali proprie, quelle cellule cioe' che servono a ricostruire i tessuti danneggiati. E' infatti costituito da cellule speciali, gli epatociti, che pur essendo cellule mature, sono capaci di proliferare e di ricostituire la parte eventualmente danneggiata di tessuto epatico. "Negli ultimi anni", spiega il professor Antonio Gasbarrini, docente di terapia medica alla Cattolica di Roma e coautore dello studio, "si e' capito che, come tanti altri tessuti, anche il fegato ha le sue cellule staminali, che intervengono soprattutto in caso di danni molto gravi, come la cirrosi epatica o l'epatite, per aiutare gli epatociti a ricostruire il fegato danneggiato". Queste cellule nell'uomo si chiamano "cellule progenitrici epatiche", mentre nei ratti -gli animali studiati dal gruppo di ricercatori che ha pubblicato su Gastroenterology- queste cellule prendono il nome di "cellule ovali", a causa della loro forma.
"Le cellule staminali del fegato sono le stesse che danno origine ai tumori -commenta infine il Professor Gasbarrini- perche' hanno una altissima capacita' di differenziare e replicare. Questa ricerca ci fa ipotizzare che in futuro, conoscendo meglio il meccanismo di funzionamento dei fattori di crescita, si potrebbe imparare a bloccare i meccanismi alla base della trasformazione in tumori di questo tipo di cellule staminali".
 
 
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