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Eutanasia o il nano piu' alto del mondo? (P. Welby)
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Lettera 
16 maggio 2006 0:00
 
Eutanasia o il nano piu' alto del mondo? A conferire profondita' alla tragedia di Eschilo e' il rapporto con la morte. In base a questo dono lo sguardo dell'uomo' proteso verso il futuro, attribuisce all'avvenire il carattere di un presente, cosi' a portata di mano, che egli non riesce a capacitarsi del pensiero della fine. Si possiede un futuro finche' non si apprende di non averlo. (Hans Georg Gadamer, "Dove si nasconde la salute", Raffaello Cortina) L'eutanasia, cosi' come e' discussa nella maggior parte dei Paesi, consiste nel sapere se e' possibile accogliere la richiesta consapevole di malati in fin di vita afflitti da grandi sofferenze che chiedono di essere aiutati a morire. I sondaggi rilevano che l'opinione pubblica e' sempre piu' favorevole a consentire che i malati "terminali" decidano della loro vita, ma le percentuali dei favorevoli all'eutanasia diminuiscono fortemente quando dai malati terminali si passa a ipotizzare atti eutanasici su persone che non sono in grado di formulare una richiesta consapevole. L'argomento principe di chi si oppone all'eutanasia e' il pericolo che l'accettazione della liceita' etica dell'eutanasia rischi di indebolire la percezione etica e sociale del dovere fondamentale di tutela dei malati affetti da gravi patologie fisiche e mentali. Questo pericolo ha un nome: slippery slope. Ecco come il Prof. Francesco D'Agostino, Presidente del Comitato per la Bioetica, si e' espresso al riguardo: "[.] la fondatezza di quel¬lo che in bioetica si chiama il rischio dello slippery slope, cioe' del pendio scivoloso: una volta accettata la legittimita' dell'eutanasia volontaria, in nome del principio di autonomia, si giunge facil¬mente e rapidamente ad accettarla anche se involontaria, in nome di princìpi ritenuti all'inizio troppo fragili, come quello della compassione o del consenso presunto da parte del paziente alla sua soppressione". La teoria dello slippery slope, pur se apparentemente inattaccabile, e' stata smontata dalla teoria -mi si passi l'ossimoro- del nano gigantesco. Supponiamo - scrive J. Goffi, nel saggio "Pensare l'eutanasia"- che un tipico nano abbia una statura di 70 cm. Non vi sara' alcuna differenza significativa fra un tipico nano e un nano alto 70 cm e 5 mm. Ma se alla statura cosi' ottenuta vengono aggiunti 5 mm per un grandissimo numero di volte, si finira' col parlare di un individuo alto 240 cm, cioe' di un gigante. Tuttavia, non si sara' mai stabilita una differenza significativa fra l'individuo che presenta tutte le caratteristiche del nanismo e l'individuo che presenta tutte le caratteristiche del gigantismo. In nessun momento sara' possibile dire, dopo aver aggiunto 5 mm: «L'ultimo individuo di cui parlavamo era il piu' grande nano del mondo; adesso, ci troviamo in presenza del piu' piccolo gigante». L'assurdita' della questione indica che l'argomento della china fatale presenta qualcosa di insoddisfacente. Insomma, non si dovrebbe confondere il nano (l'eutanasia) con il gigante (altro dall'eutanasia). Gli unici due paesi europei che consentano l'eutanasia (praticata da un medico) sono l'Olanda e il Belgio. Nei Paesi Bassi «eutanasia» significa interruzione volontaria della vita del paziente, su sua richiesta, da parte di un terzo (Leenen H.J.J., The definition of euthanasia, «Medicine and Law»); in Belgio l'eutanasia e' «un atto praticato da un terzo, che pone intenzionalmente fine alla vita di una persona, su sua richiesta» ( Comite' Consultatif de Bioéthique). Nonostante queste definizioni del termine "eutanasia" che pongono l'accento sulla "volontarieta' liberamente e ripetutamente espressa", in Belgio, i socialisti fiamminghi, dopo aver difeso l'eutanasia per le persone incapaci di intendere e di volere, hanno proposto che l'eutanasia possa essere estesa anche ai minori di eta'. In Olanda, i bambini ed i neonati per i quali potrebbe essere presa la decisione di fine vita possono essere divisi in tre categorie: i bambini senza alcuna speranza di sopravvivenza; i bambini che hanno una prognosi pessima e sono dipendenti dalle cure intensive; i bambini con prognosi disperata che vivono quello che i genitori e gli esperti di medicina considerano una sofferenza insopportabile. Senza voler evocare la straussiana reductio ad Hitlerum, non si puo' non rilevare che il "nano" dell'eutanasia-volontaria e' diventato un nano-gigantesco e irriconoscibile. Per essere credibili e' necessario che il termine "eutanasia" venga usato unicamente per definire un atto praticato da un terzo, che pone intenzionalmente fine alla vita di una persona, su sua richiesta. Brandt (1910-97), filosofo utilitarista, ritiene che siano ammissibili delle eutanasie in assenza di volonta' del paziente, anche quando non sia mai stato dato alcun assenso preventivo. Egli non ragiona piu' in termini di autonomia, ma guarda a quello che puo' essere considerato il migliore interesse del paziente: in certi casi, non e' contrario all'interesse del paziente morire, o addirittura essere ucciso. Se poi la vita (biologica) di un agente continua - o viene mantenuta - mentre egli e' permanentemente incapace di formulare la minima preferenza razionale, essa per lui non ha piu' alcun valore. Infine, la vita (biologica) di un agente puo' diventare per lui un danno? La risposta non e' scontata: si puo' ammettere che il valore della vita di un agente sia, ai suoi occhi, estremamente debole; si puo' persino ammettere che quel valore diventi nullo (nel caso in cui l'agente abbia perduto coscienza in modo irreversibile) (J. Goffi, op. cit.). Due esempi pratici sono rappresentati dai casi Eluana Englaro e Charlotte Wyatt. Beppino Englaro, il papa' di Eluana, la giovane lecchese in coma irreversibile da 17 anni, chiede da tempo che sia staccata la spina che tiene artificialmente in vita la figlia e ritiene che i medici debbano "Restituire la dignita' umana e il diritto alla morte a mia figlia". In Inghilterra, un giudice dell'Alta Corte ha emesso una sentenza che permette ai medici di Charlotte Wyatt - una bambina di due anni e mezzo nata con gravi lesioni al cervello, ai polmoni e ai reni- di desistere da ulteriori interventi per il sostentamento vitale. Il giudice Justice Hedley ha motivato la sua decisione sottolineando come le condizioni della bambina siano in peggioramento: "Le analisi mediche parlano chiaro: la respirazione artificiale non permettera' di ottenere i risultati che senza dubbio i genitori desiderano. Anche il Cnb italiano, nella mozione sull'assistenza a neonati e a bambini afflitti da patologie o da handicap ad altissima gravita', votata nella seduta plenaria del 28 gennaio 2005, chiariva che "la decisione di interrompere trattamenti medici futili, non proporzionati, privi di alcuna credibile prospettiva terapeutica per il paziente va sempre ritenuta non solo lecita, ma addirittura eticamente doverosa, [ e che] per quanto concerne la decisione di interrompere l'accanimento, che essa, anche se e' assolutamente auspicabile che venga presa col consenso dei genitori del bambino, e' in ultima istanza di esclusiva competenza del medico, che puo' eventualmente avvalersi del parere consultivo di un Comitato etico". La parola racchiude le idee rendendo cosi' agevole comunicare agli altri i nostri pensieri. Ma c'e' il pericolo che la stessa parola venga usata in contesti differenti con il rischio di ingenerare confusione. Il termine Eutanasia dovrebbe essere usato unicamente per indicare l'interruzione volontaria della vita del paziente, su sua richiesta, da parte di un medico. In tutti gli altri casi sarebbe opportuno riferirsi ai protocolli approvati (o approvati in futuro) dai comitati etici in accordo con l'Ordine dei Medici. A qualcuno questa distinzione potrebbe apparire come un escamotage ipocrita, ma - bonificare - il termine eutanasia porterebbe maggiore chiarezza in un dibattito sempre piu' inquinato da pregiudizi e posizioni preconcette. D'altronde e' molto piu' ipocrita la disinvoltura con la quale molti sostenitori della TSV (teoria della sacralita' della vita) si dichiarano favorevoli alle cure palliative massive che, come spesso accade, provocano o aggravano un'insufficienza respiratoria; e, a causa dello stato di debolezza, il decesso del paziente muore. Ad esempio il "cocktail litico", un'associazione di tre farmaci (un neurolet¬tico, un sedativo e un oppiaceo) - scrive J. Pohier, in Les droits des vivants sur la fin de leur vie- e' sempre piu' utilizzata per "sconnettere" il paziente. Ritengo che il suo uso non sia siste¬maticamente da condannare, ma ritengo pure che sia eccessivo e che sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome. E l'impiego di questo cocktail, qualora avvenisse senza la richiesta o il consenso esplicito del paziente, non potrebbe essere chiamato "eutanasia".
Piergiorgio Welby

Risposta:
Ringraziamo della lettera che pubblichiamo su Cara Aduc e su Vivere & Morire. Le chiediamo, se lo riterra' opportuno, il permesso di pubblicare come articolo questo suo scritto su Vivere&Morire (dandogli cosi' rilevanza maggiore).
 
 
 
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