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 ITALIA - ITALIA - Eutanasia. Cassazione conferma necessita' di una legge
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1 aprile 2016 12:57
 
Nessuna attenuante per chi pratica l'eutanasia ad un proprio familiare gravemente malato. Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna a 9 anni e 4 mesi inflitta, con rito abbreviato, dalla Corte d'assise d'appello di Torino, ad un uomo accusato di omicidio aggravato in relazione alla morte della moglie: l'imputato, di origine statunitense come la consorte, l'aveva uccisa con una coltellata, dopo averle somministrato una pesante dose di sedativo che, pero', non aveva avuto conseguenze letali. L'uomo aveva spiegato ai carabinieri di Alessandria, dai quali si era recato 10 giorni dopo il fatto, di aver deciso di "porre fine alle sofferenze" della coniuge, affetta da oltre 10 anni da una malattia degenerativa. Nel suo ricorso, l'imputato chiedeva alla Corte la concessione dell'attenuante prevista dall'articolo 62, primo comma, del codice penale, "per aver agito per motivi di particolare valore sociale", dato che la sua intenzione era "perseguire esclusivamente la finalita' altruistica di porre fine alle atroci sofferenze della consorte".
La Suprema Corte, con una sentenza della prima sezione penale depositata oggi, ha rigettato il ricorso: quanto all'attenuante per "motivi di particolare valore sociale", i giudici di 'Palazzaccio' osservano che questi "devono corrispondere a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettivita' ed intorno ai quali si realizzi un diffuso consenso". Si deve trattare, scrive la Cassazione, "di principi generalmente approvati dalla societa', in cui agisce chi tiene la condotta criminosa ed in quel determinato momento storico, appunto per il loro valore morale o sociale particolarmente elevato, in modo da sminuire l'antisocialita' dell'azione criminale". Le "discussioni tuttora esistenti sulla condivisibilita' dell'eutanasia - aggiungono i supremi giudici - sono sintomatiche della mancanza di un suo attuale apprezzamento positivo pubblico, risultando anzi larghe fasce di contrasto nella societa' italiana contemporanea: non ricorre pertanto la generale valutazione positiva da un punto di vista etico-morale, condizionante la qualificazione del motivo come di particolare valore morale e sociale". Rigettato anche il punto con cui l'imputato chiedeva di riconoscere che il fatto andava riqualificato come "omicidio del consenziente", poiche', a suo dire, aveva agito "nella convinzione dell'intento della moglie di porre fine alla sua esistenza": i giudici di piazza Cavour hanno rilevato che non era emersa "un'incontestata e perdurante intenzione della donna di essere uccisa dal marito", circostanza "peraltro ritenuta incompatibile dalla Corte di merito perche' contraria al credo religioso - mormone - della coppia".

"La sentenza della Cassazione conferma che la questione delle scelte di fine vita non puo' essere risolta semplicemente attraverso una valutazione caso per caso. E' necessario un quadro giuridico chiaro per evitare soluzioni fai-da-te che vengono assunte in condizioni di disperazione e senza la possibilita' di verificare con certezza le volonta' della persona malata e le possibilita' di assistenza e cure palliative". Lo dichiara Marco Cappato, presidente di Radicali italiani, promotore di eutanasia legale e candidato sindaco a Milano, che aggiunge: "mi auguro che le commissioni congiunte giustizia e affari sociali della Camera vogliano sbloccare la discussione avviata sulla nostra proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell'eutanasia. E' urgente dare risposte di legalita' atte a prevenire gesti estremi che, al di la' della valutazione su questa ultima condanna, non possono mai essere considerati come una soluzione".  
 
 
 
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