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Suicidio adolescenziale. Vasto dibattito sui social network grazie ad una serie di Netflix
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Articolo di Redazione
18 aprile 2017 11:20
 
  Hannah Baker, una studentessa dell’ultimo anno di un comune liceo americano, si e’ suicidata. Senza lasciare una lettera. Ma prima della sua morte, la giovane donna ha registrato sette cassette audio, in ognuna descrive la ragioni del suo suicidio, dedicate e destinate ad una persona che lei accusa di essere responsabile del suo malessere… e della sua morte.
“13 Reasons Why”, la serie di Netflix derivata dal romanzo omonimo (2009) dello scrittore americano Jay Asher, ha conosciuto un inizio col botto dal suo lancio, il 31 marzo. Nello spazio di due settimane, la serie di tredici episodi -una per ogni lato di cassetta- si e’ gia’ conquistata un successo impressionante. Solo una manciata di amanti delle passate serie nell’arte della “cliffhanger” (suspense), tra cui “Game of Thrones” e “The Walking Dead”, hanno ottenuto dei picchi di ricerca piu’ importanti nella storia di Google -e dopo diverse stagioni.


 
Al di la’ dell’interesse suscitato da questa serie -ben aiutata da un’importante campagna promozionale di Netflix e per il fatto che la produttrice, la cantante Selena Gomez, sia una delle star preferite degli adolescenti- e’ soprattutto, a distinguerla, la quantita’ di dibattiti e discussioni che ci sono stati intorno.
Sui social network, il numero di messaggi dedicati alla serie ha avuto livelli raramente raggiunti. Dopo il 30 marzo, circa 8 milioni di messaggi sono stati pubblicati su Twitter, battendo largamente tutte le altre serie di Netflix, e il numero continua a crescere, secondo la stessa Twitter. Su Instragram, i due attori principali della serie, Katherine Langford (Hannah Baker) e Dylan Minnette (Clay Jensen), accumulano abbonati al ritmo di 100/300mila al giorno dal 31 marzo.
Nascita di un “fandom”
Serie dura su molestia, depressione, suicidio e violenza, “13 Reasons Why” sembra aver aperto alla grande le valvole del malessere adolescenziale. Su Tumblr, la piattaforma di microblog molto frequentata dagli adolescenti americani, decine di migliaia di messaggi riportano delle immagini animate dei protagonisti della serie, discutendo sulle citazioni dei personaggi, postando le loro impressioni sullo scenario, evocando le differenze tra il libro e la serie, la possibilita’ che ci sia una seconda stagione, comparando teorie piu’ o meno astruse sulle motivazioni dei personaggi…
Nello spazio di una settimana, e’ tutto un “fandom”, una comunita’ di fans, con le sue finzioni, i suoi codici, i suoi riferimenti, che e’ apparso accanto ai molto consolidati “fandom” di Sherlock o del Doctor Who.
La piattaforma accoglie anche numerosi messaggi di persone che dicono di essere state sconvolte, come spesso accade nella maggior parte delle discussioni online. Quello che fa visibilmente la forza della serie e’ anche il fatto che ha attirato piu’ che altro critiche: alcuni commentatori hanno visto nei tredici episodi una forma di “glorificazione del suicidio”, o, in modo piu’ misurato, un metodo non corretto e pericoloso di descrivere il processo che puo’ portare al suicidio.
L’idea di un suicidio che puo’ essere spiegata per “tredici motivi” da’ una visione semplicista del problema, argomentano alcuni critici che ritengono anche che l’atteggiamento vendicativo dell’eroina pone un problema. Altri giudicano che la serie possa “perpetrare l’idea che gli amici e la famiglia delle persone che si suicidano avrebbero potuto fare di piu’, che e’ una cattiva conoscenza di come funziona la malattia, la depressione, il suicidio e il lutto”, riassume il Daily Beast
In alcuni Paesi, essenzialmente in Brasile, delle associazioni di aiuto alle persone suicide, hanno segnalato che le richieste sulle loro linee di ascolto sono raddoppiate dopo l’inizio della serie, e che essi hanno ricevuto dei messaggi che facevano esplicito riferimento alla serie stessa come motivo che li aveva spinte a cercare aiuto.
Mostrando in dettaglio i segnali premonitori del suicidio, evocando in modo piu’ articolato cio’ che lascia intendere il suo titolo sulle cause possibili, e coinvolgendo color che sono vicini ad esse, “13 Reasons Why” segue piu’ che altro le raccomandazioni degli specialisti della prevenzione.
Uno studio condotto nel 1996 sulle conseguenze del suicidio del cantante dei Nirvana, Kurt Cobain, mostrava che l’evocazione del lutto dei suoi famigliari e il fatto che il suo suicidio fu violento, facevano parte dei fattori che avevano limitato un “effetto a catena” che si era invece riscontrato in altre occasioni dopo il suicidio una persona famosa. La serie sembra aver lanciato una discussione di una rara ampiezza sui social network su una materia tabu’.
Meme e molestie
Sui social network, la serie e’ stata anche all’origine di una larga discussione su molestia e sessismo, temi largamente trattati durante i tredici episodi. Una discussione largamente animata da un meme molto diffuso su Twitter, chiamato “Welcome to Your Tape”.
In questo contesto, di cui esistono decine di varianti, Hannah domanda una cosa anodina, si vede opporre un rifiuto, e replica “benvenuto nella tua cassetta” (“Welcome to your tape”). Una caricatura del modo in cui si costruiscono gli episodi della serie: ognuno presenta una persona accusata da Hannah di essere responsabile della sua morte, guidata dalla voce dell’eroina, che le augura “benvenuto nella tua cassetta”.
Queste “battute” hanno particolarmente infastidito le numerose persone che hanno apprezzato il messaggio portato dalla serie contro le molestie quotidiane. “Niente mi fa arrabbiare di piu’ che tutti questi meme “welcome to your tape” scritti da un internauta su Twitter. Il principio stesso di “13 Reasons why” e’ di far vedere che questo genere di cose non sono una battuta”. “Il fatto che delle persone facciano dei meme su “13 Reasons why” non fa che confermare letteralmente cio’ che pensa Hannah Baker sulla nostra societa”, scrive un altro su Tumblr.
Piu’ precisamente, numerosi commentatori sottolineano che questo meme riprende una delle accuse fatte contro Hannah nella serie: essa sarebbe una “drama queen” (regina del dramma), alla ricerca continua di attenzione -sottinteso che non bisogna ascoltarla. Un meccanismo classico che porta ad accusare la vittima, e denunciato da molto tempo dalle associazioni di aiuto.

(articolo di Damien Leloup, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 18/04/2017)



Questo il trailer della serie
 
 
 
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