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Perche' "Vivere & Morire"
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Articolo di Pietro Yates Moretti
17 febbraio 2006 0:00
 
Morte. Una parola, un concetto, un evento che comprensibilmente suscita spesso forte avversione, la volonta' di non parlarne, di rimandare il piu' possibile ogni pensiero che la riguardi. La sua negazione e' cio' che ci fa essere, che ci fa respirare, ci fa amare: la vita. E' questa che merita la nostra incondizionata considerazione, il nostro pensiero, e' questa che va difesa sempre e comunque. Vita come antitesi della morte, vita come impegno a combattere la morte. In questa battaglia non puo' esistere nessun risparmio di energie: nuove cure e nuove tecnologie nascono e si evolvono per sconfiggere la morte. La chirurgia plastica ringiovanisce il nostro corpo, allontanando -dagli occhi- quella vecchiaia che e' cosi' maledettamente ed inesorabilmente incamminata verso la morte. Nei reparti ospedalieri di rianimazione, luoghi subliminali fra la vita e la morte, si lotta disperatamente per conquistare anche un solo respiro in piu'. La dicotomia vita-morte non ammette esitazione: come e' possibile desiderare la morte invece della vita? Chi, se non un pazzo, puo' pensare a legalizzare l'eutanasia, il suicidio assistito? Non sono -questi- altro che sinonimi di morte, con le aggravanti della loro artificialita', rappresentando il tradimento, la diserzione da un esercito di vivi in guerra contro la morte?

Eppure, da un sondaggio dell'ONDa (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna) presentato il 5 febbraio scorso emerge che il 58% delle donne italiane sono favorevoli all'eutanasia, mentre quasi il 40% dei cattolici italiani si dichiara favorevole all'eutanasia in un sondaggio Eurispes del 17 gennaio. Nello stesso giorno la Corte Suprema degli Stati Uniti -i cui nove membri sono di dichiarata fede cristiana- ha confermato la legittimita' della legge dello Stato dell'Oregon che legalizza il suicidio assistito da parte di un medico. Si scopre pure che Paesi europei quali l'Olanda ed il Belgio hanno da tempo legalizzato l'eutanasia, anche per i minori nel caso dell'Olanda. Di fatto in Svizzera e' ammesso il suicidio assistito, mentre in Gran Bretagna, dove l'eutanasia e' illegale, un sondaggio ha messo in evidenza che nel 2004 i medici britannici hanno aiutato a morire 3.000 pazienti. Uno studio del 2003 del ricercatore olandese Agnes van der, Heide dell'Universita' Erasmus di Rotterdam, sulla situazione dell'eutanasia e del suicidio assistito in alcuni Paesi europei, ha riscontrato che il 23% dei decessi e' deciso da medici che interrompono le varie tecniche per il prolungamento della vita o prescrivono farmaci che, calmando i dolori, possono indurre alla morte. Come e' possibile tutto questo? Stiamo assistendo ad una defezione scellerata di massa dal fronte della vita in favore della morte?

Questi dati possono sorprendere solo coloro che fino ad oggi si sono posti di fronte alla non-dibattibile -e a nostro avviso scontata e banalizzante- opposizione "vita/morte". Proviamo a pensare alla questione in termini non cosi' facilmente discernibili l'uno dall'altro: "vivere" e "morire". Con questi, i concetti astratti e contrapposti di vita e morte assumono sfumature e gradazioni infinite, inevitabilmente legate all'individuo, il suo pensiero ed il suo percorso interiore -filosofico, religioso, o di qualsiasi altra natura. "Morire", il processo che porta alla morte, e' parte integrante della "vita", in quanto si puo' morire solo se si e' in vita. La domanda che possiamo ora porci e' questa: come definire la fase terminale di una malattia inguaribile e dolorosa, "vivere" o "morire"? Possiamo sempre e comunque affermare il prolungamento di un lento e doloroso "morire" in nome della "vita"? Ecco che la risposta non e' piu' cosi' scontata, ma prettamente soggettiva.

Lo scopo di queste righe di informazione incentrata sull'eutanasia, sul suicidio assistito, sulle cure palliative, ed in generale sui temi inerenti al "fine vita" e' di promuovere un dibattito che ancora stenta a partire nel nostro Paese. Un dibattito, fra l'altro, che l'Italia si' e' impegnata a stimolare e rendere accessibile a tutti sottoscrivendo la Convenzione di Oviedo.
Lo facciamo con un nuovo notiziario che chiamiamo "Vivere & Morire", uno spazio di informazione e approfondimento per significare come l'eutanasia ed il suicidio assistito costituiscano una scelta e un'accettazione di vita, che con determinazione e convinzione cerchiamo di rendere piu' serena. A partire dalla liberta' di scelta di ogni singolo: perche' si possano stabilire i limiti della propria dignita', in ogni momento. Dignita' di non fermarsi davanti ai muri ideologici, dignita' di comprendere i propri limiti, dignita' di non esser condannato ad un lungo morire, colmo di sofferenza fisica e tormento interiore. Chi, meglio di un individuo sereno, puo' comprendere ed operare scelte sulla propria vita?

Il dibattito in materia in Italia, in un certo senso, esiste gia' (come dimostrano i dati del sondaggio Eurispes sopracitato), ma avviene solo in famiglia, fra gli amici, e segretamente fra i numerosi medici italiani che, rischiando il loro posto di lavoro e la loro liberta', aiutano i loro pazienti a raggiungere la fine desiderata ed auspicata di una sofferenza insopportabile. Questo confronto pero' e' vittima di un silenzio imbarazzante ed assordante che coinvolge intellettuali e soprattutto i politici, che su questo sono chiamati a legiferare. Da una parte i "soliti noti" (radicali, socialisti, liberali, ecc), dall'altra la chiesa che, richiamandosi alla sua ideologia sulla sacralita' della vita, bolla la controparte come maestra ed amante di morte. Invece di dare spazio al dibattito prendendo spunto da vicende ed iniziative che riguardano il fine vita, l'informazione si limita a fare cronaca delle polemiche che le seguono.

Noi auspichiamo che la legge italiana dia all'individuo la liberta' di scegliere come vivere e come morire. Se questo non potra' accadere per il convincimento contrario della maggior parte degli elettori italiani, lo accetteremo. Vorremmo pero' che questo loro convincimento fosse frutto di un ragionamento ed una posizione consapevole, e non di uno svilimento e semplificazione delle posizioni fra chi ama la vita e chi -dicono- ama la morte.
 
 
 
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