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Spreco alimentare. I meccanismi psicologici. Studio
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Articolo di Redazione
16 ottobre 2016 13:21
 
  Secondo un ultimo studio dell'Agenzia dell'ambiente e del risparmio energetico (Ademe), dello scorso maggio, dieci milioni di tonnellate di cibo sono gettati via ogni anno in Francia. Cioe' l'equivalente di 16 miliardi di euro e di 15,3 milioni di tonnellate di CO2. Facendo il rapporto con ogni singolo francese, questo rappresenta 29 chili di alimenti gettati via a casa propria, e 155 chili nell'insieme della catena alimentare. Il valore del cibo perduto rappresenta inoltre 240 euro all'anno per persona.
In occasione della giornata contro lo spreco alimentare e della Giornata dell'alimentazione, domenica 16 ottobre, Mia Birau, ricercatrice alla Grenoble Ecole di management, autrice di studi sulle leve psicologiche dello spreco alimentare, spiega gli aspetti consapevoli e inconsapevoli che inducono i consumatori a gettare via cosi' tanto cibo.
D. Le campagne contro lo spreco alimentare si moltiplicano. Hanno un impatto sui consumatori?
R. Queste campagne permettono di far conoscere il problema dello spreco. Ma esse utilizzano spesso un messaggio colpevolizzante, che ha effetto contrario rispetto alle aspettative: i consumatori, sottostimando il proprio spreco, non si sentono cosi' colpevoli. “Se tutto il mondo spreca, perche' ne dovrei essere io piu' interessato rispetto agli altri?”, si dicono i consumatori. Invece, se il messaggio sottolinea la parte di responsabilita' dei distributori e dei ristoratori, il consumatore e' piu' disposto a fare degli sforzi per ridurre lo spreco, non sentendosi il solo coinvolto. In altre parole, se il messaggio non e' unicamente concentrato su di lui, il nostro consumatore e' piu' probabile che sia disponibile a sforzarsi in merito.
I nostri studi mostrano anche che quando si spiega che e' facile ridurre il proprio spreco, cioe' si fa appello alla fiducia del consumatore, il sentimento di sentirsi sotto accusa si attenua. Il consumatore e' allora disposto a fare di piu' in merito.
D. C'e' un calo dello spreco?
R. Oggi non esiste uno studio che porti a questa conclusione, Le analisi attuali si concentrano sulla stima della quantita' e dei volumi di alimenti sprecati, ma non sulla sua evoluzione. Quello che e' certo, e' che la consapevolezza del problema e' in crescita. I programmi e le iniziative contro lo spreco si moltiplicano. Ma la lotta contro lo spreco e' un cantiere a lungo respiro. E' anche una questione di cultura. E per cambiare i comportamenti, occorre tempo.
D. Lo spreco si spiega in parte grazie alla preminenza delle norme sociali, igieniche?
R. Alcuni meccanismi psicologici, largamente incoscienti, portano in effetti allo spreco. Per assicurarsi il proprio livello di vita, per confortare la propria immagine di “buon genitore” previdente, di oste generoso, si compra spesso troppo. I consumatori sottostimano anche il riempimento del proprio congelatore, dei propri armadi e pensano di essere in grado di consumare tutti i prodotti acquistati prima della data di scadenza.
Anche al momento del pasto, la nostra incoscienza contrasta le motivazioni che ci hanno guidato all'acquisto. Una scelta dietetica puo' averci spinto ad acquistare una insalata, ma una volta a tavola, ci si lascia tentare da una pizza, da una pasta. Nello stesso tempo, si acquista un nuovo jogurt per provare, cambiare, ma si continua a consumare il proprio abituale jogurt.
E le abitudini hanno la vita dura: la fetta di pane iniziata, il fondo del contenitore della salsa, il resto di un piatto, finiscono nella spazzatura. Anche il metodo di conservare gli alimenti rileva delle abitudini spesso ben radicate. Si mettono, per esempio, le banane e i biscotti nel frigo perche' i nostri genitori hanno sempre fatto cosi'.
Rispetto alle date di scadenza, i consumatori le interpretano spesso come un allerta immediato per la sicurezza alimentare del prodotto, mentre per diversi prodotti si tratta solo di una data indicativa. Non si fa differenza tra “consumare prima o dopo” e “consumare preferibilmente prima di..”. Un certo numero di alimenti finiscono cosi' nella spazzatura. Nello stresso modo, gli studi mostrano che si cucinano in genere gli ultimi prodotti acquistati. I prodotti piu' vecchi sono inutilizzati, poi gettati,
D. Come far evolvere i comportamenti?
R. Bisogna continuare a sviluppare delle campagne forti e visibili che permettano al consumatore di avere confidenza con la propria capacita' di cambiare. E' anche importante dare lezioni sulla data di scadenza come sul modo di conservare gli alimenti. Le indicazioni “conservare al fresco” o “conservare in un ambiente secco”, sono spesso insufficienti perche' troppo generici. In genere il consumatore fa riferimento alle proprie abitudini per il modo di conservarli. In senso generale, occorre che la legislazione sulle etichette si evolva.
Bisogna anche ritornare sull'idea ancor ben radicata presso i distributori, che i prodotti mosci, deformati, non si vendono. Al contrario, oggi, con lo sviluppo del bio, il consumatore percepisce la frutta e le verdure “mosce” come dei prodotti piu' naturali, piu' sani.
Bisogna dedicarsi all'educazione dei piu' giovani. E' con le prossime generazioni che si prendera' una vera svolta con le buone abitudini.

(articolo di Laetitia Van Eeckhout, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 15/10/2016)
 
 
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