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La ricerca considera poco il dolore femminile
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Articolo di Redazione
14 luglio 2016 9:37
 
Questo articolo avrebbe potuto semplicemente intitolarsi “Dei topi e delle femmine”. Perche'? Poiche' fa riferimento a un articolo pubblicato lo scorso 13 luglio sulla rivista Nature, firmato da Jeffrey Mogil che dirige il laboratorio di genetica del dolore all'Universita' McGill (Montréal). Da diversi anni questo ricercatore canadese ritiene che la scienza prende in poca considerazione le sofferenze delle donne, avendo constatato che le ricerche sui farmaci contro il dolore e gli esperimenti preclinici sull'antalgia si fanno essenzialmente su... roditori maschili.
Come l'aveva ben riassunto, qualche anno fa, la giornalista Erika Check Hayden, “il paziente tipico che soffre di dolore cronico e' una donna di 55 anni, mentre i soggetti che vengono studiati sul dolore cronico sono topi maschi di 8 settimane”. Questo potrebbe non porre nessun problema se il meccanismo del dolore fosse assolutamente simile tra maschi e femmine. Ma non e' cosi' e Jeffrey Mogil, gia' da uno studio del 1993, lavora sulle differenze che ci sono tra individui nella sensibilita' al dolore, ed essenzialmente le differenze legate al sesso. Egli ha essenzialmente messo in luce che gli ormoni sessuali possono giocare un ruolo quando il cervello tratta il dolore. In occasione di uno studio pubblicato nel 2015, il nostro ricercatore ha anche mostrato che, nel caso dell'ipersensibilita' al dolore, non sono le stesse cellule immunitarie che servono da mediatrici nel midollo spinale dei roditori maschi e femmine.
Nell'articolo che pubblica oggi Nature, Jeffrey Mogil constata che numerosi ricercatori non includono sempre degli animali femmine nei loro studi, mentre, per esempio, negli Stati Uniti, il National Institutes of Health (NIH) preconizza l'uso di roditori di due sessi negli studi preclinici. Le cifre fornite dal ricercatore canadese sono eloquenti: nel 2015, su 71 articoli di ricerche pubblicati dalla rivista specializzata “Pain” che facevano il punto sui lavori sui roditori, 56 utilizzavano solo dei topi maschi, 6 unicamente femmine (per delle ricerche specifiche), 6 non specificavano il sesso degli animali e solo 3 lavoravano sui dei topi di entrambi i sessi, cioe' meno del 5%...
Tre ragioni principali
Ci si puo' domandare che cosa spiega questa resistenza da parte dei ricercatori. Jeffrey Mogil, a forza di discutere coi suoi colleghi, ha identificato tre ragioni principali. La prima e' che gli scienziati temono, mettendo dei topi femmine nei loro esperimenti, di introdurre una qualche sorta di segnali parassiti, una variabilita' dovuta ai livelli fluttuanti degli ormoni femminili che rischiano di rendere meno chiara la lettura dei risultati. Questo e' un cattivo argomento per Jeffrey Mogil che ha dimostrato, in uno studio del 2005, che l'introduzione di animali femmine nei campioni non portava a significative differenze, perche' la variabilita' psicologica con i maschi, dovuta alla loro differente posizione nella gerarchia sociale, non era di per se' trascurabile.
Alcuni ricercatori esitano anche ad includere dei roditori femmine perche' temono che faccia raddoppiare la dimensione dei gruppi... e quindi gli esprimenti costano di piu'! Jeffrey Mogil risponde che il raddoppio in questo senso non e' obbligatoriamente conseguenziale e che e' sufficiente di dare loro una sufficiente dimensione per vedere le principali differenze tra i sessi. Facendo riferimento alle ricerche precedenti, egli prende in considerazione anche argomenti che rivolge ai suoi colleghi: trovare una differenza tra i sessi renderebbe lo studio piu' interessante e susciterebbe anche la pubblicazione di un secondo articolo. Due pubblicazioni al prezzo di una, questo puo' far riflettere! La terza e ultima ragione avanzata dai reticenti, e' la piu' solida e sta anche per essere oggetto di una specifica pubblicazione: si tratta del rischio che gli editori delle riviste domandino ai ricercatori che gli fanno rivedere un loro uno studio sugli animali di entrambi i sessi, di rifare i loro esperimenti per ogni fase del ciclo ormonale delle femmine (cosi' come non si chiede necessariamente agli scienziati di fornire, per i roditori maschi, dei risultati in funzione dei livelli di testosterone che, anche essi, sono fluttuanti...).
Nella conclusione del suo saggio, Jeffrey Mogil chiede che non si perda di vista l'essenziale: “I ricercatori hanno l'obbligo di cercare di risolvere i problemi che sono importanti per la societa'. La maggior parte dei pazienti che soffrono sono femmine. Noi veniamo meno ai nostri doveri se conduciamo delle ricerche con solo dei roditori maschi, perche' questo produce dei risultati che rischiano di non servire se non agli uomini”. Soprattutto, questo articolo fa appello ad un cambiamento di paradigma: considerare che, nei lavori sul dolore, il sesso degli individui costituisce una notevole variabile biologica.

(articolo di Pierre Barthélémy, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 14/07/2016) 
 
 
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