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Perturbatori endocrini: come le lobby ci hanno guadagnato
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Articolo di Redazione
8 ottobre 2015 12:26
 
I dati sono conosciuti, brutali: la quanita' di sperma e' diminuita della meta' in cinquanta anni, e il numero di diabeti e' raddoppiato in venti anni nei Paesi ricchi, ed alcune forme di cancro sono esplose. Le cause? Varie, sicuramente. Tuttavia, per la comunita' scientifica non ci sono dubbi che i perturbatori endocrini (PE) svolgono un ruolo essenziale.
Di fronte a questa catastrofe annunciata, non succede nulla. Un libro, “Intoxication”, scritto da Stéphane Horel, esce oggi giovedi' 8 ottobre. Recente (tra il 2010 e la fine del 2013) e largamente occultato, che spiega in gran parte l'attuale immobilismo: la guerra' che c'e' stata in seno alle direzioni della Commissione europea e chi ha perorato un affossamento del dossier. O piu' esattamente, in gergo, a lanciare uno “studio di impatto” che ha consentito di rinviare le scadenze. Una vicenda che rivela le terribili battaglie di condizionamento che si svolgono sulla sanita' a Bruxelles. Stéphane Horel e' unica. Le lobby sono il suo ambito, di formazione giornalistica, non si lascia condizionare a indagare su migliaia di pagine sui cosiddetti perturbatori endocrini. “Io passo ore, giorni e notti leggendo in continuazione per cercare di comprendere direttamente che cosa accade, e come lavorano direttamente le lobby di tutti i tipi”, spiega.
Cancro, diabete, infertilita'…
Punto di partenza, quindi, i PE, queste piccole bestie che sono ovunque, nella maggior parte dei prodotti che sono fabbricati dall'industria petrolchimica. Essi sgranocchiano il nostro sistema ormonale provocando anche conseguenze psicologiche, non solo su di noi ma anche sulle generazioni a venire.
L'espressione “perturbatori endocrini" e' stata creata nel 1991 da Theo Colborn per indicare tutti gli agenti chimici che agiscono sul sistema ormonale, che possono, di conseguenza, essere causa di anomali psicologiche e di riproduzione. Da circa cinquanta anni, gli effetti dei perturbatori endocrini sono oggetto di ricerche e di osservazioni: agiscono a dosi molto piccole, ed hanno conseguenze sulla salute alterando alcune funzioni come quella della crescita, dello sviluppo, del comportamento, dell'umore, della produzione, del sonno, della circolazione del sangue, delle funzioni sessuali e riproduttive. La constatazione piu' spettacolare e' stata quella della diminuzione di fertilita' grazie alla cattiva qualita' dello sperma e la chiamata in causa dei PE in questo fenomeno.
All'inizio di questo mese di ottobre, nella rivista “Endocrine Review” (la piu' vecchia rivista della piu' importante societa' di studi specializzati sulla ricerca ormonale e sulla pratica clinica dell'endocrinologia), e' stato pubblicato uno studio che ha fatto il punto sulla situazione, i cui risultati sono indiscutibili: “la crescita dei dati esaminati leva ogni dubbio sul fatto che i perturbatori endocrini contribuiscono all'aumento della maggior parte di malattie croniche legate all'obesita', il diabete mellito, la riproduzione, la tiroide, varie forme di cancro, vari problemi neuroendocrini che colpiscono le funzioni neurologiche dello sviluppo”. I ricercatori precisano anche che “i cinque ultimi anni rappresentano un balzo in avanti per la nostra comprensione di come agiscono i PE sulla salute e le malattie del sistema endocrino”.
“L'industria sul piede di guerra”
Il momento e' serio. Ma si potrebbe dire che c'e' ancora tutto il tempo. Un po' come per il tabacco, dove sono trascorsi trenta anni con gli studi che mostravano il legame diretto con il cancro ai polmoni, e la considerazione pratica del pericolo da parte delle autorita'. In questo pero', non si e' proceduti cosi' male come si era invece cominciato. Nel 2006, la Commissione ha iniziato la sua revisione della regolamentazione dei pesticidi. E ha deciso di includervi i PE. Problema: come distinguerli, come definirli? Il Parlamento osserva, e domanda alla Commissione di presentare una definizione scientifica dei PE entro la fine del 2013. Si tratta di questioni importanti, perche' si esce dall'ambito classico dei pesticidi per trattare degli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana, come la plastica, i cosmetici, i farmaci, i detergenti, i giochi, tutti prodotti che possono contenere dei PE. Si capisce, di conseguenza, la vigilanza dell'industria che si agita per tutto cio' che rappresenti un minimo di regolamentazione.
Nello stesso momento, nel 2006, le istanze europee adottano Reach, un vasto programma il cui scopo e' di proteggere la salute e l'ambiente mettendo un po' d'ordine nel grande bazar chimico che e' diventato il mondo contemporaneo. “I PE fanno parte delle sostanze preoccupanti?”, si chiede quindi Reach. La questione, anche in questo caso, resta in sospeso, ma Reach chiede alla commissione di trovare una soluzione, entro la stessa data: giugno 2013.
L'industria petrolchimica sente il pericolo. “E si mette, quindi, sul piede di guerra -scrive Horel-, l'industria avrebbe desiderato che le politiche europee si disinteressassero del dossier. Essa ha perso questa prima battaglia, ma sta per attivarsi per far approvare che la definizione di PE sia il piu' possibile limitata, poiche' vuole continuare a mettere i propri prodotti sul mercato senza che intervenga una specifica regolamentazione”.
Siamo quindi un una battaglia di condizionamenti. Omerica ma discreta, che avra' come teatro i corridoi della Commissione europea a Bruxelles. Ed e' proprio questo confronto che ci descrive, nel suo libro/inchiesta, Stéphane Horel, e in particolare gli ultimi fatti del 2012 e del 2013. Un confronto larvale, torvo, terribilmente feroce tra due grandi direzioni della Commissione europea, quella sulla sanita' e quella sull'ambiente. La direzione ambiente ha sempre avuto la reputazione di essere un fortino, in grado di resistere alle lobby dell'industria. Mentre la direzione sanita' e' conosciuta come la portavoce del capitalismo liberale. Ma entrambe hanno un punto in comune: si ritrovano sotto l'egida di un commissario europeo che ha un peso politico debole.
Durante diversi mesi, le due direzioni hanno inviato invettive segrete sulla questione di uno studio di impatto che spara abilmente contro l'industria petrolchimica. Uno studio di impatto, cosa di meglio, in effetti, per cassare una decisione? Questo dura un anno come minimo, si analizza come il suo nome indichi l'impatto sociale ed economico di un divieto di alcune sostanze sulla salute… delle imprese interessate. Per Stéphane Horel, la cosa e' comica: “Voi avete un prodotto molto pericoloso, e piuttosto che vietarlo, vi concentrate sulla questione dell'impatto economico del suo ritiro. Prendete l'esempio del Mediator (ndr un farmaco oggetto di una grande scandalo). Questo e' pericoloso, ma e' come se si andasse ad analizzare le conseguenze per Servier (ndr l'industria che produceva questo farmaco) per il suo ritiro piuttosto che vietarlo”.
Horel fa il dettaglio di tutte le tappe di questi due anni. Descrive la strategia degli industriali per tentare di glissare, con le raccomandazioni, la necessita' di questo studio di impatto, moltiplicando gli incontri, e altre iniziative. Tutto va bene, i metodi delle lobby sono grandi, sia che si tratti dei particolari sui finanziamenti degli studi scientifici, che un lavoro piu' sornione per legittimare alcune ricerche e rendere meno credibili gli studi universitari indipendenti, il tutto per minimizzare le prove biologiche, e mettendo sempre in primo piano l'incertezza scientifica.
Alcuni dati scientifici ignorati
E' un lavoro di millepiedi in mille direzioni. “Lo scopo degli industriali e' di tecnicizzare ad oltranza il dibattito per arrivare a renderlo incomprensibile, e soprattutto renderlo indecifrabile agli occhi dei cittadini”, dice Horel. “Ora -argomenta Lisette Van Vliet, responsabile di una ONG in materia- non si tratta di un oscuro dibattito tossicologico, penso che si tratti della stessa cosa del cambiamento climatico ma in materia di prodotti chimici pericolosi e di sanita' ambientale”. E aggiunge: “Come per il cambiamento climatico, i dati scientifici ci sono, ma sono ignorati dalle autorita' pubbliche, come se il dubbio dovesse sistematicamente essere utilizzato a vantaggio degli interessi delle aziende che commercializzano questo spray o quel detersivo, piuttosto che a vantaggio delle persone”. Cosi' si avanza, virgola dopo virgola, nell'elaborazione di un argomentare.  E i media? “Durante questi anni di lobbyng, essi hanno giocato un ruolo molto limitato -constata Stéphane Horel-, cosi' come in Francia poiche', essendo materia europea, i giornali hanno paura di annoiare i propri lettori”.
Giugno 2013, la data limite. La lobby degli industriali ha vinto, come ce lo racconta Stéphane Horel. La Commissione europea ha messo da parte il tutto. Ed ha chiesto uno studio di impatto. Coloro che si allarmano sull'interesse di un simile lavoro hanno avuto ragione: due anni dopo, nulla e' accaduto. Siamo sempre la'. Sempre in attesa.
«Intoxication» di Stéphane Horel, éd. La Découverte, 306 pp, 19€.

(articolo di Eric Favereau, pubblicato sul quotidiano Libératon del 08/10/2015)
 
 
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