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Biodiversita'. La perdita e' maggiore di quanto si studia
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Articolo di Redazione
10 giugno 2017 13:53
 
 Diversi studi a avvertono che si dovrebbe alzare il livello di minaccia di estinzione, calcolato in 150/200 specie di animali al giorno. “Questo aggiornamento della Lista Rossa mostra che la grandezza della crisi globale di estinzione potrebbe essere maggiore di cio’ che si crede”. Alla fine del 2016, durante la presentazione dell’ultimo aggiornamento della lista che cataloga le specie della fauna e flora minacciate, a cura dell’Unione Internazionale per la Conservazione della natura (UICN), la sua direttrice generale, Inger Andersen, lanciava questa avvertenza che due studi scientifici di questa primavera hanno reso piu’ sostanziosa: perdiamo biodiversita’ ad un ritmo maggiore di quello stimato fino ad oggi.
Agli inizia di aprile, il Centro di Ricerca Ecologica e Applicazioni Forestali (CREAF) diffondeva uno studio pubblicato dalla rivista Nature con la partecipazione di ricercatori di questo centro, in cui si avvertiva che “Potrebbe essere sottostimata la quantita’ di specie che la civilizzazione moderna ha estinto”. Pertanto, questo limite condiziona in modo negativo le politiche e gli obiettivi di conservazione, visto che “partiamo da informazioni inevitabilmente incomplete”, sostiene Nicolas Titeux, ricercatore del Centro Tecnológico Forestal de Cataluña (CTFC), e firmatario anche di questo studio.
Piu recentemente, Biological Conservation pubblicava un altro lavoro, guidato da ricercatori della Columbia Univesity (Usa), dove si davano numeri precisi a questa sottostima in virtu’ di un lavoro realizzato nella catena montuosa di Ghats Occidentals, in India, con gli uccelli presenti nella Lista Rossa della UICN. La sua principale conclusione e’ che per almeno dieci delle diciotto specie studiate, la UICN dovrebbe alzare il livello di minaccia a causa di omissioni nel calcolo della distribuzione dell’habitat.
Questa ricerca fa piovere sul bagnato, poiche’ a novembre del 2016 la rivista Science Advances pubblicava un altro lavoro piu’ ampio su 586 specie di uccelli delle foreste endemiche e minacciate di sei punti caldi della biodiversita’ mondiale: i boschi atlantici del Brasile, Centroamerica, Ande occidentali della Colombia, Madagascar, Sumatra e il sudest asiatico. In questo caso, attraverso le analisi dei dati rilevati a livello remoto, a parte il raccomandare all’UICN di alzare la categoria di minaccia per specie gia’ incluse nella Lista Rossa, propone di includerne 189 che non vi comparivano. La ricerca a cui a cui partecipano appartenenti alla CREAF e al CTFC mette in evidenza che gli studi sull’impatto umano e la perdita di biodiversita’ che hanno ispirato le politiche di conservazione, sono molto recenti, mentre sono secoli che e’ cominciata una grande pressione su fauna e flora. “La crescita della popolazione, l’emissione di gas ad effetto serra, la contaminazione o la fertilizzazione eccessiva, hanno origine molto prima di quanto di e’ cominciato a seguire e monitorare la biodiversita’”, spiegano.
In questo caso si propone di ampliare questa conoscenza facendo riferimento alle collezioni dei musei di scienza naturale, la paleobiologia o i sedimenti dei fondi dei laghi dove ci sono resti antichi di pollini, semi e microrganismi. “L’ecologia storica (studio delle interazioni umane con l’ambiente nel corso del tempo) ci ha permesso di dimostrare che l’anguilla ha perso in Spagna piu’ del 96% della su area di distribuzione in virtu’ delle continue alterazioni dei canali, specialmente per la costruzione di dighe”, porta come esempio Lluis Brotons, ricercatore del CSIC nel CREAF e nel CTFC, e uno degli autori del lavoro pubblicato su Nature.
Nel 2014, nell’ambito di alcune giornate su collezioni e documentazione del Museo Nacional de Ciencias Naturales (MNCN/CSIC) si pose attenzione sulla rilevanza di queste collezioni come “strumento insostituibile per documentare la biodiversita’”. E si porto’ come esempio l’errore di stabilire la distribuzione originale di alcune specie di coleotteri, basandosi unicamente sulle citazioni della letteratura scientifica. “Quando non si consultano i dati della collezione del MNCN, si perde circa il 50% delle localita’ in cui sono o erano presenti queste specie”.
Theo Oberhuberm coordinatore dell’area di conservazione della natura di Ecologistas en Acciòn, evidenzia altre lacune: “Ci sono alcune specie e gruppi di specie, soprattutto uccelli e mammiferi, che per far risultare piu’ facile il seguirli o -perche’ no- vendere meglio la loro ricerca, sono piu’ studiati che non la flora e la fauna che sono piu’ estinte, ma che soffrono un maggiore impatto che, a sua volta, pregiudica queste specie maggiori”. E fa un altro esempio di ritardo: “Sono passati piu’ di 30 anni da quando sono stati segnalati i primi rischi del cambio climatico, ma e’ solo oggi che si studia questo impatto sulla biodiversita’, probabilmente quando ci sono specie che non hanno potuto adattarsi allo stesso”.
Sia Oberhuber che Brotons valorizzano positivamente l’uso della scienza comune, strumento che porta ad aggiungere studi che parlano dei dati della lista rossa della UICN. Secondo Brotons, “esistono lacune molto importanti nella ricerca sugli invertebrati, e la scienza comune aiuta ad offrire visioni piu’ generali sulla perdita di alcuni di essi che non permettono di apprezzare le modifiche, i fattori che li liberano e che sono dietro di loro”.
Sia la UICN che Craig Hilton-Taylor, capo dell’unita’ della Lista rossa di questo organismo, si sono espressi contro le critiche ai loro metodi di catalogazione della minaccia, difendendo il fatto che dispongono di informazioni che vengono dal rilevamento a distanza tra i piu’ avanzati nella scienza comune. “Le valutazioni di uccelli della Lista Rossa, usano dati che provengono da eBirdBirdTrack o Xeno-Canto, per mappare le distribuzioni di specie con la maggior precisione possibile, e stiamo proseguendo con questa ricchezza di dati”. Ma sempre come complemento delle ricerche scientifiche, dicono sia Hilton-Taylor che Oberhuber e Brotons.

(articolo di Javier Rico, pubblicato sul quotidiano El Pais del 10/06/2017)
 
 
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