testata ADUC
I biocarburanti emettono piu' CO2 che la benzina e il diesel
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
30 aprile 2016 16:46
 
Apparsi come una una promettente alternativa al petrolio nei trasporti, i biocarburanti sono sempre di piu' presi di mira in virtu' dei loro perversi effetti: deforestazione, scomparsa delle colture alimentari, aumenti dei prezzi delle derrate alimentari… ma anche emissioni di gas ad effetto serra.
Uno studio della Ong europea Transport&Environnement (T&E), pubblicato lo scorso 25 aprile, stima che i biocarburanti, ben lungi dall'essere virtuosi per il clima, emettono di fatto piu' gas ad effetto serra che non i combustibili fossili (benzina e diesel). L'associazione fa riferimento ad un vasto studio fatto fare dalla Commissione europea e pubblicato a marzo che presenta un nuovo bilancio degli impatti dei biocarburanti, in termini di emissioni e di superfici coltivabili, in prospettiva del 2020.
A questa data, in Europa, il 5% del biodisel sara' mediamente incluso in 1 litro di diesel. Ora, secondo lo studio, 1 litro di biodiesel emette l'80% di gas ad effetto serra, piu' che un litro di diesel. Risultati: il biodisel causera' un aumento del 4% di emissioni di gas ad effetto serra (GES) rispetto allo scenario di un diesel puro. Sarebbe l'equivalente, secondo T&E, di 12 milioni di vetture in piu' sulle strade europee.
Questo aumento di emissioni cade al 3,5% per tutti i biocarburanti mescolati (biodiesel e bioetanolo), dopo che il bioetanolo permetterebbe, per suo conto, di ridurre dello 0,5% le emissioni di GES rispetto al carburante.
Piu' in dettaglio, il litro di biodiesel emesso dalla colza rappresenta l'1,2 volte in piu' di emissioni rispetto al litro di diesel; quello di soia, due volte in piu' di emissioni, e quello dell'olio di palma, tre volte di piu'. Ora, queste tre coltivazioni rappresentano, secondo lo studio della commissione europea, due terzi dei biocarburanti in Ue da oggi al 2020.
“Una cura peggiore della malattia”
Per Jos Dings, direttore di T&G, “la cura e' peggiore della malattia”. I biocarburanti non rappresentano che, se si crede a questi numeri, la direttiva europea sulle energie rinnovabili, che richiede la riduzione delle emissioni che risultano dal loro uso di almeno il 50% nel 2017, e del 60% nel 2018.
L'Ue ha pertanto rallentato nel 2014 su questi biocarburanti sempre piu' controversi, pianificando un 7% del loro uso nei trasporti europei. Che rappresenta una parte dell'obiettivo fissato al 10% di energie rinnovabili nei trasporti -essenzialmente con l'uso dei biocarburanti di prima generazione.
Questo plafond del 7% “e' stato utile, pertanto, e dovrebbe essere abbassato a zero dopo il 2020”, stima Jos Dings. “Questi biocarburanti non dovrebbero essere considerati come dei carburanti a zero emissioni”. In effetti, come ce lo ricorda uno studio del ministero dell'ecologia del 2013, “nei dati ufficiali di emissioni che vengono raccolti ogni anno dai Paesi con istanze comunitarie o internazionali, le emissioni legate ai biocarburanti nel settore dei trasporti sono considerate come nulle, poiche' il CO2 che viene emesso durante la loro combustione e' stato assorbito nell'atmosfera attraverso fotosintesi nella fase di produzione della biomassa”.
La considerazione del cambiamento dell'uso dei terreni
Dal carburante a “zero emissioni” ad un biodiesel che emette fino a tre volte in piu' di gas ad effetto serra dall'equivalente fossile, perche' c'e' un tale scarto nelle valutazioni? La risposta e' nella presa in considerazione, o meno, di un fattore cruciale: il cambiamento di utilizzazione dei terreni, di quelli naturali che stoccano del carbone (prati, foreste…) fino alla terra coltivata. A questo c'e' da aggiungere, secondo lo studio di T&E, alcune emissioni dirette (trattori, trasporti, fertilizzanti…). E questo potrebbe essere:
- diretto, quando delle coltivazioni per biocarburanti sono prodotte in spazi naturali.
- Indiretto, quando le terre agricole gia' esistenti sono convertite in coltivazioni per biocarburanti. In questi casi, con la domanda alimentare costante, o tendente all'aumento, le coltivazioni alimentari saranno spostate in altri terreni, a detrimento ancora una volta degli spazi naturali. Questi sono cambiamenti sull'uso indiretto dei terreni, difficile da quantificare, che non sono presi in considerazione dalle politiche nazionali ed europee.
Lo studio della Commissione europea stima che la politica europea in materia di biocarburanti seguira' il suo corso fino al 2020, portando ad un cambiamento dell'uso dei terreni di 8 milioni di ettari -di cui 2,9 milioni di ettari in Europa (con minori abbandoni delle terre agricole), e 2,1 milioni in Asia del sud-est. Una regione “sotto la pressione delle coltivazioni di olio di palma, che si estende per il 50% tra foreste tropicali e gli ambienti caratterizzati da grande abbondanza di acqua (acquitrino o palude) in movimento lento e a bassa temperatura (le cosiddette torbiere)”.
Questo cambiamento di uso dei terreni ha anche, secondo diverse importanti ONG ambientali, “degli effetti devastanti sulla sicurezza alimentare, i diritti dei terreni e le condizioni di vita delle popolazioni che vivono su queste terre utilizzate, nonche' sulla biodiversita' a livello mondiale”. “Per produrre l'olio vegetale consacrato al biodiesel -spiega Dings-, bisogna sconfinare sulle coltivazioni alimentari, fatto che aumenta i prezzi delle derrate e aggrava la fame nel mondo, senza considerare le superfici coltivate”. Questo si fa essenzialmente nelle zone tropicali, con la deforestazione”.: coltivazioni di soia in Amazzonia, di palme da olio in Indonesia…
In Francia, molto pochi terreni sono stati convertiti ai biocarburanti. Le coltivazioni di soia e girasoli, per il biodiesel, o la barbabietola, per il bioetanolo, sono state fatte a detrimento delle coltivazioni proteiche, delle terre incolte o delle esportazioni.
Incertezza ed opacita'
Il cattivo bilancio sul carbone dei biocarburanti e' tuttavia da qualificare, secondo Alexandre Gohin, direttore della ricerca all'istituto di ricerca agronomica di Rennes. Secondo lui, la crescita dei rendimenti, che consente di evitare di estendere le coltivazioni dedicate ai biocarburanti, e' anche da prendere in considerazione. O ancora, il “tasso di attualizzazione”: Una foresta di abbatte una sola volta, ma si producono sullo stesso terreno delle nuove coltivazioni di biocarburanti ogni anno.
Questa moltitudine di parametri spiega la diversita', e l'incertezza, rispetto ai modelli che permettono di calcolare i cambiamenti d'uso dei terreni o le emissioni indotte attraverso i biocarburanti.
Al contrario, lo studio europeo su cui si appoggia T&E “non ha trasparenza, e questo nuoce alla sua credibilita'”, dice Gohin. Sollecitata dalle lobby europee dei produttori di biocarburanti, la European Biodiesl Board, la vice-presidente della Commissione europea si son divisi su una lettera nel quale si riconosce che lo studio non risponde ai criteri accademici per una pubblicazione in una rivista scientifica di prestigio. “Si tratta dello studio piu' avanzato in materia, e le Ong come gli industriali sono stati lungamente consultati”, dice Dings.

(articolo di Angela Bolis, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 30/09/2016) 
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS