Aborto: lottare contro con la barbarie?

  Dopo i feti sepolti a Roma coi nomi delle gestanti (inconsapevoli), la Regione Piemonte decide che l’aborto farmacologico (RU486), su decisione del medico e non della gestante, debba essere praticato in ospedale. Questo nonostante a livello nazionale le disposizioni dicano il contrario, dopo che sono state modificate perché in Umbria, interpretando le disposizioni nazionali, prevedevano l’obbligo di ospedalizzazione.

Oltre che essere una costante di iniziative di chi è contrario alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, forse siamo all’avvio di una nuova offensiva.

In tutto il 2020, questi tre fatti sono sintomatici di una certa ripresa. Noi che siamo per la libertà di scelta della donna non siamo preoccupati visto che le leggi ci sono, sono chiare e le autorità, quando è stato necessario (e lo è ancora nel caso del Piemonte) sono tempestivamente intervenute per ripristinare l’ordine.
Ci preoccupa, invece, la catena di violenze che ne consegue. Verso lo stato e verso le persone.

Nel caso romano dei feti sepolti col nome della gestante, ci preoccupa l’accecamento ideologico di chi vi ha proceduto violando la privacy di chi aveva abortito, e al coinvolgimento criminogeno dell’ospedale che ha dato le necessarie informazioni a questi becchini.
Nel caso piemontese abbiamo un’amministrazione regionale che decide di normare violando le disposizioni nazionali, e il nostro non è uno Stato federale dove le Regioni/Stato possono avere normative una all’opposto dell’altra.

Violazioni delle leggi in nome dell’affermazione di una ideologia che vorrebbe il ritorno all’illegalità (e al sanzionamento) dell’interruzione di gravidanza.

E’ questo un confronto civile? Certamente no! É barbarie.
Certamente non è barbarie credere che il feto sia equiparabile ad un essere umano e quindi essere contrari all’aborto, ma è barbarie violare la libertà e i diritti delle singole persone per affermarlo.

Legge approvata grazie alla disobbedienza civile
E’ bene ricordare che la legge che ha legalizzato l’aborto in Italia è diventata tale dopo una lunga campagna di disobbedienze civili messe in atto negli anni 70 del secolo scorso dal Partito Radicale. Disobbedienze che come tutte quelle civili non hanno compromesso libertà e diritti dei singoli, ma hanno portato alcune persone a violare la legge, esponendosi e patendo i rigori della stessa, per stimolare confronto, dibattito e decisioni nelle persone e nei legislatori, che poi decisero per la legalizzazione, legge Fortuna (1).

Legge contestata con disobbedienza incivile
Nei fatti di questi giorni per riportare sulla cresta mediatica la contrarietà di alcune persone all’aborto legalizzato, invece, non c’è disobbedienza civile, ma incivile: il danno arrecato dalle loro iniziative non è contro l’ordinamento legislativo, ma contro le persone che usufruiscono di questa legge: le gestanti a cui si viola la privacy (cimiteri romani) e a cui si rende difficile il ricorso all’interruzione di gravidanza (ospedalizzazione piemontese e prima quella umbra).

E’ questo il metodo per affermare i propri convincimenti? Ci vengono in mente, per esempio, alcuni tragici episodi di violenze contro alcuni medici e loro cliniche in alcuni Stati degli Usa… e non possiamo non ricordare, sempre in Usa, che si tratta di metodi come quelli del “Ku klux klan” contro i neri.

Se non vogliamo arrivare a tanto anche nel nostro Paese, sarà bene che si intervenga subito per far capire che le opinioni si affermano col dialogo e non con la violenza (aggravata, nel caso piemontese e umbro, dal fatto che a perpetrarla è una pubblica istituzione).

NOTA
1 – confermata anche in un successivo referendum che i contrari alla legalizzazione avevano promosso per abrogare la legge approvata.
 

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